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Il fine di contrastare evasione e frode fiscale non può giustificare un ostacolo alla libertà di stabilimento

Il fine di contrastare evasione e frode fiscale non può giustificare un ostacolo alla libertà di stabilimento Se la normativa nazionale istituisce una presunzione generale di frode e di abuso, pregiudica l’obiettivo perseguito dalla direttiva sulle società madri e figlie, ossia prevenire la doppia imposizione degli utili distribuiti da una società figlia alla propria società madre.

La normativa nazionale non può subordinare l’esenzione dalla ritenuta alla fonte degli utili distribuiti da una società figlia residente alla propria società madre non residente alla condizione che tale società madre dimostri che la catena di partecipazioni non abbia come fine principale o fra i propri fini principali quello di trarre vantaggio da tale esenzione, senza che l’amministrazione finanziaria sia tenuta a fornire il benché minimo principio di prova di frode e di abuso.

Nell’ambito di una controversia tra due società francesi da un lato, e l’amministrazione finanziaria francese, dall’altro, è stata presentata domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione degli articoli 49 e 63 TFUE nonché dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, come modificata dalla direttiva 2003/123/CE, del Consiglio, del 22 dicembre 2003.

La questione sorgeva in merito al rifiuto opposto dall'amministrazione finanziaria francesedi esentare dalla ritenuta alla fonte dividendi distribuiti dalla società figlia alla società madre.

In estrema sintesi, la Corte di Giustizia UE afferma che se la normativa nazionale istituisce una presunzione generale di frode e di abuso, pregiudica l’obiettivo perseguito dalla direttiva sulle società madri e figlie, ossia prevenire la doppia imposizione degli utili distribuiti da una società figlia alla propria società madre.

In altre parole, la normativa nazionale non può subordinare l’esenzione dalla ritenuta alla fonte degli utili distribuiti da una società figlia residente alla propria società madre non residente alla condizione che tale società madre dimostri che la catena di partecipazioni non abbia come fine principale o fra i propri fini principali quello di trarre vantaggio da tale esenzione, senza che l’amministrazione finanziaria sia tenuta a fornire il benché minimo principio di prova di frode e di abuso. Parole chiave: #dividendi, #direttivamadrefiglia, #libertàdistabilimento, #fulviograziotto, #scudolegale Studio Legale Graziotto

  1. Corte di Giustizia Europea, Timac Agro Deutschland, C‑388/14
  2. Corte di Giustizia Europea, Euro Park Service, C‑14/16
  3. Corte di Giustizia Europea, Lankhorst-Hohorst, C‑324/00
  4. Corte di Giustizia Europea, Commissione/Belgio,Commissione/Belgio, C‑478/98
  5. Corte di Giustizia Europea, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C‑196/04

DIRETTIVA DEL CONSIGLIO del 23 luglio 1990

concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi

Non più in vigore

Articolo 1

1. Ogni Stato membro applica la presente direttiva:

  • alla distribuzione degli utili percepita da società di questo Stato membro e provenienti dalle loro filiali di altri Stati membri;
  • alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali.

2. La presente direttiva non pregiudica l'applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi.

Permalink al Testo Integrale

Direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011

concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (rifusione)

Vigente al: 14-03-2018

Articolo 1

1. Ogni Stato membro applica la presente direttiva:

a) alla distribuzione degli utili percepiti da società di questo Stato membro e provenienti dalle loro filiali di altri Stati membri;

b) alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato membro a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali;

c) alla distribuzione degli utili percepiti da stabili organizzazioni di società di altri Stati membri situate in tale Stato membro e provenienti dalle loro società figlie di uno Stato membro diverso da quello in cui è situata la stabile organizzazione;

d) alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato membro a stabili organizzazioni situate in un altro Stato membro di società del medesimo Stato membro di cui sono società figlie.

2. La presente direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi.

Permalink al Testo Integrale

TFUE

TRATTATO SULL'UNIONE EUROPEA E DEL TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL'UNIONE EUROPEA

Vigente al: 14-03-2018

Articolo 49 (ex articolo 49 del TUE)

Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all'articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell'Unione. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono informati di tale domanda. Lo Stato richiedente trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all'unanimità, previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Si tiene conto dei criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo.

Le condizioni per l'ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l'Unione, da essa determinati, formano l'oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.

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